I RICORDI DEL CREPUSCOLO
Siracusa
368 a. c.
Dopo averlo scorso distrattamente, buttò con
insofferenza il rotolo di pergamena in un angolo dello scrittoio e
dopo un lungo, stanco, sospiro, si alzò dallo scranno e cominciò a
girare per la stanza
misurandola a lunghi e lenti passi quindi, indossò il
mantello ed uscì.
- Aristarco - disse rivolto ad una delle due guardie di
piantone - fa chiamare il segretario e quando sarà qui digli che
deve leggere il messaggio della lega italiota. Domani alle prime luci
lo voglio a rapporto per sapere se è tutto in regola!
-Sarà fatto come ordini Egemone!- rispose il soldato
attivandosi immediatamente dopo aver salutato il proprio comandante.
Questi si diresse subito verso l' uscita della fortezza
al piano inferiore, congedando la guardia
personale che lo attendeva nel corridoio e scomparendo
inghiottito dall' androne delle scale.
Una volta fuori, il contatto con la brezza marina e i
raggi del sole calante sul viso lo ristorarono, e dopo aver respirato
l' aria salmastra a pieni polmoni tirò sù il cappuccio del mantello
e si avviò
verso il porto grande.
Nonostante ci sarebbe stata luce ancora per poco, la
laguna brulicava ancora di marinai, facchini, commercianti, schiavi,
impegnati nello scarico e nel trasporto delle merci verso le botteghe
o i
magazzini.
L' economia della città non era mai stata così florida
grazie ai commerci con le colonie fondate su entrambe le sponde dell'
Adriatico, sul quale esercitava quindi una forma del tutto esplicita
di
talassocrazia, e la ricchezza generata da questa
condizione andava ad alimentare la poderosa
struttura bellica che altro non era se non il cuore
dell'egemonia politica della pòlis sulle colonie e sull' Italia.
Dopo pochi passi, scorse sul molo più a nord, quello
riservato alle navi che consegnavano le merci per lo Stato o per i
suoi funzionari più eminenti, la sagoma esile ma fiera del suo primo
consigliere.
Avvicinandosi lo sentì che inveiva contro il pingue e
servile mercante, probabilmente ionio, con cui discuteva, salvo
riprendere in un attimo il contegno da uomo di stato e di lettere
qual' era. Decise di fermarsi nei pressi ad osservare la scena.
-E dunque, con quelle due anfore di vino di Lesbo che
encomiabilmente mi doni, considero ripagata la pessima qualità della
tua ultima consegna, fai buon viaggio Ascalafo!
- Scaricatele e portatele a casa mia!- disse rivolto a
quattro operai di fiducia che aveva con sé.
Il povero mercante, divenuto una maschera di
incredulità, fece per protestare, ma gli uscì solo uno squittio
senza speranze, che non lambì nemmeno il suo interlocutore, che se
ne era già andato.
L' uomo col cappuccio calato si mosse - Buon Filisto.
Allora è vero che in ogni filosofo, in qualche modo, si cela un
mercante!
- Per Apollo, Dionisio che fai a spasso per il porto da
solo, e al tramonto per giunta!
L' uomo era spiazzato, e quando il duce congedò anche
le sue guardie pensò di avere le
allucinazioni.
- Vieni, fratello, questa non è un' ora da passarsi con
le guardie, non oggi, vieni sediamo!
Quel comportamento allarmava Filisto, ma ancora prima lo
incuriosiva. Capì, però, che fare
domande non sarebbe servito, e una volta seduti su uno
dei sedili marmorei del molo, rimasero a guardare il mare in silenzio
per un poco, poi Dionisio parlò.
- Ahh, per Zeus, se avessi saputo che quest' anno
elafebolione sarebbe stato così caldo non avrei perso tempo
partecipando all' agone tragico ad Atene, avrei attaccato Cartagine!
- Non hai tutti i torti, ma dedicarti a qualcosa di
diverso da guerra e politica potrebbe giovarti - disse Filisto.
Il padrone di Siracusa pareva non averlo nemmeno
sentito, e dopo una lunga, immobile pausa buttò indietro il
cappuccio, liberando i capelli che nonostante l'età, ormai oltre i
sessant' anni, erano
ancora neri, eccetto le zone grigie sulle tempie.
- Sai che giorno è oggi Filisto? - domandò, fissandolo
improvvisamente con quello sguardo di ferro che ormai da molti anni
piegava invariabilmente le volontà di coloro che lo incrociavano
compresa quella del primo consigliere che, inquietato, non articolò
verbo.
- Oggi è il compleanno di Arete!
- Ma Dionisio, tua figlia...
- No fratello. Non mia figlia. Mia moglie!
L'
amico udendo quel
nome riemergere dagli abissi di quella che sembrava essere ormai un'
altra vita, fu sul punto di farsi travolgere dall' emozione. Era un
ricordo che credeva cancellato per
sempre
dalla mente del suo signore, che da moltissimi anni non nominava
quella fanciulla dal
destino
così disgraziato.
- Sì, capisco il tuo stupore amico mio - riprese
Dionisio - ma tu che mi conosci fin da quando
eravamo ragazzi dovresti sapere che ho una parola sola,
e a lei avevo consacrato me stesso. La morte non cambia certe cose.
Nemmeno una morte come la sua. Quei bastardi vigliacchi dopo aver
inferto ogni ingiuria possibile al suo corpo e al suo onore non
ebbero neanche la pietà di ucciderla. La abbandonarono,
costringendola a farlo da sola!
Filisto, al pensiero del fardello che l' amico portava
da tanto tempo si sentì oppresso ma trovò
finalmente la forza di dire con un filo di voce:
- Tutto questo hai covato in te, nonostante nei lunghi
anni le tue due mogli ti abbiano dato amore ed eredi! Credevo che
dare quel nome alla tua unica figlia fosse più un omaggio al tuo
vecchio
comandate e idolo Ermocrate, padre di Arete, che un
perpetuare quell' amore!
Dionisio seguì per un momento la danza dei gabbiani
sullo specchio d' acqua.
- L' amore è un demone, filosofo. Ti seduce mostrandosi
con un profilo di bellezza irresistibile, mentre il profilo che non
vedi trama per te dolore e rovina. Le mie mogli, anche nel fulgore
dei loro anni migliori, non sono state che un pallido simulacro di
Arete. Nella mia vita ho affrontato
moltitudini di nemici, espugnato, costruito e raso al
suolo città, evaquato o deportato intere
popolazioni. Ho concepito strumenti di morte impensabili
ed ho bonificato immensi territori, ho reso la nostra Siracusa la
pòlis più potente del mondo greco e, se gli Dei mi sosterranno,
annienterò il barbaro al di là del mare che tante sciagure ci ha
inferto. Ma nessuna di queste cose mi ha fatto dimenticare il profumo
della sua pelle o il colore dei suoi occhi, la mia bocca non ha mai
più provato nulla di paragonabile al sapore dei suoi baci. E mai
nessuna cosa che ho visto ha dilaniato il mio senno come il suo corpo
freddo.
Filisto si sentiva vuoto, un fantoccio di carne,
osservava l'amico con esterrefatta fissità, e questi lo guardò a
sua volta, ma ora con lo sguardo di chi chiede comprensione per il
proprio dolore sepolto.
- Già fratello, tutto ciò che ho fatto l' ho fatto
perché non potevo fermarmi, non potevo lasciare che
qualcuno mi togliesse di mezzo, ero costretto a
diventare sempre più forte per non morire. Non per brama di potere,
no, ma semplicemente perché quando morirò di Arete non rimarrà
traccia in questo mondo, visto che io sono l' unico che ne conserva
il ricordo. Tu non l'hai conosciuta, e tutti gli altri presenti
allora non sono più ormai da molti anni. E so che non resta molto
nemmeno a me, sento già l' oscura volontà delle parche tendere il
mio filo.
Il letterato era completamente muto, a cercare di farsi
una ragione di ciò che aveva sentito in quel giorno così diverso
dagli altri, quando Dionisio si alzò in piedi.
Il vecchio tiranno respirò profondamente osservando il
mare, poi si volse improvvisamente
puntellando di nuovo Filisto al sedile con l' unico
sguardo di cui il mondo lo credeva capace.
- Ti saluto amico e ti ordino di scordare questo
crepuscolo. Hai visto un Dionisio morto da molto tempo e quel
Dionisio non serve più, ora esiste solo il tiranno! Domani parto per
Atene, ci vedremo al mio ritorno. Addio - Si tirò il cappuccio in
testa e s'incamminò verso la fortezza dell' Ortigia.
Mentre il sole, bassissimo sull' orizzonte, infuocava
cielo e mare, Filisto, aveva così tanti pensieri in mente da non
riuscire a focalizzarne nessuno, e la sola cosa che riuscì a fare fu
seguire l' amico con lo sguardo, mentre se ne andava trascinando la
sua lunghissima ombra.
Sei
giorni dopo, durante un assolato mattino di quella stagione
insolitamente già così calda, stava attendendo alla stesura della
sua opera storica nello studio da cui dominava il porto Lakkios.
Fu
interrotto dall'arrivo di un corriere che gli portava la notizia
della morte di Dionisio, avvenuta la sera stessa della sua vittoria
nell' agone tragico ad Atene, subito dopo i festeggiamenti.
Non
appena fu solo, Filisto pianse, pianse amaramente, come non credeva
che potesse più essergli possibile alla sua età e dopo la vita,
piena di ogni sorta di emozioni, che aveva vissuto.
Pianse
affranto per il suo duce e amico, col quale aveva condiviso il sogno
di una vita.
Ma
soprattutto pianse per Arete, sconvolto dalla consapevolezza che,
ormai, anche l' ultimo ricordo di lei si era dissolto. Colei che per
oltre quarant' anni, gelosamente celata a chiunque, era stata l'
ultima vestigia di umanità di un uomo sanguinario che aveva
soppresso ogni emozione fino a non provarne forse nemmeno più, aveva
cessato di essere.
Quando il
tumulto dei sentimenti in lui si affievolì, si fece mescere da un
servo un bicchiere di vino nella proporzione che si addiceva a un
greco e brindò, solo, al ricordo degli antichi amanti.
Allora
capì che la storia era l' unica speranza contro quell'iniquità, l'
unico modo in cui non tutto di loro, di lui, e di chiunque altro
percorresse i sentieri di una vita mortale, andasse perduto.
Da uomo
di stato avrebbe dovuto occuparsi della successione senza indugio,
contattare i membri del consiglio di guerra per gestirne la
sicurezza, ed istruire Dionisio il Giovane sul da farsi, prima che la
madrepatria Corinto mettesse bocca negli affari di Siracusa
approfittando del clima d' incertezza.
Ma non
fece nessuna di quelle cose.
Tornò
senza esitazione al suo scrittoio, ma invece di tentare di plasmare
ciò che sarebbe stato, pensò di compiere un' opera molto più
meritevole narrando ciò che fu.
Luca Orlandi
Io Luca Orlandi dichiaro che il presente racconto intitolato “I
RICORDI DEL CREPUSCOLO” è frutto del mio ingegno.
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